Dopo aver di recente
occupato la capitale SANAA 30.000 ribelli, appartenenti alle tribù sciite
yemenite che si riconoscono nell’azione del movimento insorgente di al-Houthi, hanno
ultimato al presidente Abed Rabbo Mansour di formare un nuovo governo di ampia
rappresentanza assicurando, in caso contrario, di essere pronti a qualsiasi
soluzione alternativa.
La pressione
esercitata dalle tribù sciite, sotto l’ombrello dell’insorgente milizia di al-Houthi,
è giunta ad una fase cruciale poiché ha praticamente raggiunto lo scopo d’influenzare
la vita politica del paese qualora, come sembra inevitabile, il presidente
Mansour ne accolga la richiesta. Quest’ultimi, va detto, hanno comunque
annunciato di voler continuare a combattere sia i militanti di al-Qaeda sia
americani ed ebrei, secondo la litania ripetuta nelle piazze “Death to America, Death to Israel, Damn Jews
and victory for Islam” ritornello che evoca i tempi della rivoluzione
iraniana i cui epigoni sembrano agire a supporto di al-Houtni.
Lo scontro tra le
fazioni sunnite e sciite ripete quanto accade in Siria ed Iraq definendo uno
scenario di lotta senza quartiere tra differenti concezioni dell’Islam e della
legge coranica con buona pace delle cosi dette primavere arabe.
Quindi, mettendo
in giusta evidenza che la questione è confessionale ed interna al mondo islamico va aggiunto che il
ruolo decisivo in tutte queste dispute rivestito dalle tribù che sono le reali,
vere e inconfutabili padrone del territorio. L’idea ottocentesca degli stati
nazionali, esportata dal colonialismo inglese e francese, in questi territori ha
fallito e non ha più ragione d’essere, figuriamoci come possa trovare albergo
il concetto di alternanza democratica che si è rivelato effimero come ogni
tentativo.
Un secolo di
nazionalismo è servito all’occidente per contenere e controllare territori di
cui si è servito; questa ovvia constatazione è, e resta tale, e deve essere
assunta a viatico di una diversa politica di relazione con quel mondo. Che
rapporto, ad esempio, vogliamo instaurare con lo Stato Islamico? Di tipo
esclusivamente militare è assurdo anche perché insostenibile dal punto di vista
economico, ma prima ancora dal punto di vista pragmatico e culturale. Vent’anni
di guerre nell’area insegnano che il confronto militare non risolve le
questioni sul tavolo delle diplomazie ma le acuisce creando sempre nuovi fronti
di antagonismo. La transizione dall’epoca degli stati nazionali non passa
attraverso l’imposizione del modello occidentale di democrazia calando
dall’alto un sistema che si basa su di un percorso filosofico e culturale che
gli arabi non hanno vissuto. Piuttosto passa per la mediazione di nuove e
diverse forme di collaborazione utili quali base per le future relazioni anche
commerciali dei prossimi decenni. Ritengo che oggi convenga lasciare che questi
popoli si organizzino secondo i propri
modelli culturali dando vita ad una fase nuova di sviluppo nell’area senz’altro
appetibile dal punto di vista delle relazioni commerciali per l’occidente. In
tale modo non si alimenterebbe il radicalismo che in un mondo interconesso non
avrebbe più il pretesto dell’occidente invasore e corruttore. Le primavere
arabe sono il frutto di un’istanza partita dal basso, dal popolo, questa è la
vera novità che deve essere assecondata. In Egitto il radicalismo dei fratelli
musulmani giunto al potere è stato sconfitto e sgonfiato non appena le sue
politiche si sono dimostrate non essere in linea con le esigenze della popolazione.
In sostanza gli
sforzi di prevaricazione militare e culturale hanno fallito e quindi dovrebbe
sarebbe un bene lasciare il passo alla più adeguata politica della
comunicazione e condivisione.
Più che
democrazia sarebbe il caso esportassimo idee il cui valore contrasterebbe
efficacemente qualsiasi radicalismo di cui nessun popolo sente il bisogno ed a
cui facilmente ricorre se non quado si ritiene prevaricato.