Il
recente arresto di Joaquin "El Chapo" Guzman mi rammenta un film già
visto molto da vicino, l’arresto nel febbraio del 1993 del capo indiscusso
della mafia, Cosa Nostra Siciliana, Salvatore Riina.
Per
chi non è particolarmente informato circa gli sviluppi e la storia della guerra
tra i cartelli criminali in Messico per il controllo non solo dei traffici di
sostanze stupefacenti, certo cocaina ma non solo, è bene ricordare che questa
guerra ha lasciato, a oggi, circa 90.000 morti ammazzati (cifra per difetto in
ragione della circostanza che non si contano le persone scomparse e quelle di
cui non è stata neanche denunciata la sparizione).
Come
ho già avuto modo di far rilevare, l’ascesa del Chapo al vertice della
Federazione di Sinaloa è dovuta ad una scelta a tavolino presa anni addietro,
dai boss dell’epoca, che condusse alla spartizione delle aree d’influenza nel
Messico a favore delle maggiori organizzazioni criminali in relazione alla
necessità di sostituire i cartelli colombiani di Medellin e Cali, distrutti
dagli interventi congiunti delle forze colombiane e statunitensi, nella
gestione del narcotraffico internazionale di cocaina.

El
Chapo, se realmente è lui quello arrestato recentemente, in considerazione a
una serie di rumors che stanno circolando in queste ora circa un presunto
scambio di persona, probabilmente aveva fatto il suo tempo così come fu per
Salvatore Riina. Queste organizzazioni criminali in ragione dei rapporti che
stringono con il mondo della politica e dell’economia hanno un fisiologico
bisogno di ricambio al vertice; è sempre successo ed è anche logico. La figura
del capo si logora con il tempo soprattutto in relazione al mutamento delle
politiche dello stato in cui agisce. La politica ha la necessaria esigenza di tranquillizzare
la pubblica opinione e gli investitori allo scopo di legittimare la propria
autorità. I criminali, dal canto loro, sono consapevoli di dover mettere in
conto la detenzione o la morte violenta e questo è un abito mentale che
s’impara ad acquisire da subito in quel mondo.
Il
Guzman è stato arrestato, racconta la versione ufficiale, mentre si trovava da
solo in un albergo -vista mare- con moglie. L’uomo più ricercato in Messico
dallo stato e dai rivali? Grande fegato o estrema incoscienza. Secondo il mio
avviso, un personaggio del genere, come un primo ministro, non può permettersi
questo tipo di privacy, se non circondato da un piccolo esercito a tutela sua
personale ma soprattutto degli interessi di cui è garante con la propria
organizzazione.
Vedremo:
sarà interessante costatare se Joaquin Guzman sarà estradato o meno verso gli
Stati Uniti e quale sarà la reazione alla sua cattura nel mondo criminale e
nella società civile.
Saranno
le evidenze logiche a indirizzarci nella giusta direzione; allo stato delle
cose sembra più logico pensare che sia stata una resa concordata.